Irraggiamento degli alimenti: c’è davvero da preoccuparsi?


Irraggiamento degli alimentiForse qualcuno di voi aveva già sentito parlare in precedenza di irraggiamento degli alimenti, ma in quest’ultimo anno l’argomento è salito alla ribalta, almeno tra coloro che curano con molta attenzione la propria alimentazione.

Paolo de Santis, ex professore di fisica presso l’università di Roma e cofirmatario dell’articolo “Gli alimenti radio-zombie”, già a Gennaio ci invitava a prendere consapevolezza della situazione e ci avvertiva che questa procedura, eufemisticamente definita “pastorizzazione a freddo”, sta dilagando sempre di più a livello internazionale.

In effetti, con il ridursi delle distanze, l’importazione sempre più globalizzata, i vari trattati tra gli Stati ed i continenti, non c’è confine che tenga.

L’articolo è poi rimbalzato, tale e quale, su diversi blog e testate, senza comunque chiarire ulteriormente la questione e senza far capire al consumatore cosa poter fare per tutelarsi fin da subito.

Ci dobbiamo davvero preoccupare? Cosa sta succedendo realmente agli alimenti che arrivano sulle nostre tavole?

Ho cercato di capirlo in modo approfondito, partendo da una ricerca presso gli organi ufficiali che si occupano di legiferare in merito, garantendo, nel contempo, la salute del consumatore, quindi da fonti sostanzialmente a favore di questi protocolli, per analizzarle criticamente.

La finalità dell’irraggiamento degli alimenti

Sul sito del Ministero della Salute, nella pagina dedicata agli alimenti irradiati, si leggono queste testuali parole:

L’irradiazione è un trattamento fisico degli alimenti effettuato con radiazioni ionizzanti ad alta energia, in grado di inattivare gli enzimi degradativi presenti nell’alimento ritardandone il deterioramento e di inibire la moltiplicazione dei microrganismi.

Tale trattamento, quando applicato con procedure corrette, è ritenuto sicuro ed è previsto l’obbligo di etichettatura, per informare dell’avvenuto trattamento.

L’uso di questa tecnica in Europa è piuttosto limitato, sebbene autorizzato in molti Paesi membri, mentre risulta più ampio nei Paesi terzi.

Il trattamento è utilizzato:

  • per ridurre la carica microbica nel prodotto alimentare e quindi ridurre i rischi sanitari associati con certi prodotti collegati alla presenza di microrganismi patogeni

  • per prolungare la durata di conservazione dei prodotti

  • per prevenire la germinazione di patate, agli e cipolle.”

Niente di segreto, quindi. Anzi, l’irraggiamento degli alimenti è presentato come una procedura per la salvaguardia della salute del consumatore. Anche se non si nasconde che, come ulteriore beneficio, c’è una durata maggiore dei prodotti sugli scaffali del supermercato.

Finalità del processo di irraggiamento degli alimenti

Un po’ di storia sull’irraggiamento degli alimenti

Negli anni ’70 si iniziò ad ipotizzare l’irraggiamento degli alimenti come possibilità per ridurre il deterioramento delle derrate e per renderle igienicamente sicure.

Negli anni ’90 la FAO (Food and Agriculture Organization of the United Nations), la WHO (World Health Organization) e la IAEA (International Atomic Energy Agency) hanno dichiarato unanimemente che: “… l’irraggiamento di qualunque alimento con dosi medie o inferiori a 10 Kgy (leggi chilogray) non presenta rischi tossicologici e non comporta problemi nutrizionali o microbiologici…”.

Alla posizione suddetta si è accodata, in seguito, anche l’allora CEE (Comunità Economica Europea).

L’irraggiamento degli alimenti, per quanto riguarda l’Unione Europea (UE) è stato però codificato nel 1999, con la direttiva 1999/2/CE, che definisce gli aspetti tecnici, l’etichettatura e le autorizzazioni relative a questa procedura.

Cosa si utilizza per l’irraggiamento degli alimenti

L’intento dichiarato dell’irraggiamento è quello di distruggere eventuali virus, batteri, muffe ed ospiti indesiderati del cibo, per renderlo pulito e, potremmo dire, “asettico”.

Un po’ come fa la pastorizzazione, ampiamente e comunemente utilizzata con gli alimenti processati da scaffale del supermercato.

Mentre la pastorizzazione classica utilizza un innalzamento del calore (medio o alto, quest’ultimo è il metodo UHT), nell’irraggiamento, definito anche “pastorizzazione a freddo”, il cibo viene esposto a radiazioni ionizzanti, a temperatura ambiente.

Le radiazioni ionizzanti consistono in raggi gamma emessi da isotopi radioattivi.

Viene ormai utilizzato, pressoché nella totalità dei casi, l’isotopo cobalto 60 (60Co) che, nella sua instabilità, emette due fotoni, con un’energia di 1,17 e 1,33 MeV, che hanno la proprietà di essere, appunto, radiazioni ionizzanti. Praticamente un campo elettromagnetico ad alta energia.

Il 60Co viene prodotto da piccoli reattori realizzati appositamente per questo scopo (viene usato anche per la sterilizzazione di materiale medico).

In questi reattori, il 59Co (cobalto 59), stabile, viene trasformato in un emettitore di raggi gamma attraverso l’aggiunta di un neutrone al suo nucleo.

Dopo aver emesso la radiazione, il 60Co si trasforma in 60Ni (nichel 60), anch’esso stabile.

In cosa consiste l’irraggiamento degli alimenti

L’alimento da trattare viene esposto all’azione del cobalto 60 che crea una grande emissione di energia.

La quantità di energia assorbita dal cibo si esprime in Gray (Gy). 1 Gray corrisponde all’assorbimento di 1 Joule di energia per chilo di materiale.

L’effetto principale che si ottiene sulle molecole è rappresentato dalla ionizzazione, con il corredo di una certa eccitazione delle molecole.

A questo punto, chi ha studiato un poco di chimica, può ben comprendere come la ionizzazione porti a situazioni atomiche e molecolari altamente instabili e a non ben definibili trasformazioni chimiche, con processi radiolitici.

Come conseguenza delle ionizzazioni indotte dall’irradiazione primaria, poi, vengono emessi elettroni secondari che provocano ulteriori ionizzazioni ed eccitazione molecolare, in una reazione a catena

Uno dei prodotti principali di questa escalation è una quantità imprecisata di radicali liberi.

Questo dato è già, a mio parere, preoccupante.

Qualcuno potrebbe obiettare che, in presenza di un elevato contenuto di acqua, la vita di questi radicali liberi è brevissima.

Tuttavia, in alimenti secchi come, ad esempio, le noci ed i semi, ma anche, verosimilmente, i cereali (che in diverse nazioni vengono trattati con questo protocollo), la presenza dei radicali liberi dura fino al consumo dell’alimento.

Su questa caratteristica si basa, addirittura, un metodo ufficiale per il riconoscimento di “alimenti irradiati” (EPR – Electron Paramagnetic Resonance).

Alterazioni dovute all'irraggiamento degli alimenti

Noci e semi sono fondamentali in un’alimentazione equilibrata e normalmente apportano, se consumati integri e crudi, molte sostanze preziose, tra cui acidi grassi essenziali, sali minerali organicati e fitocomposti ad azione antiossidante. Potete immaginare cosa può succedere all’organismo se questa fonte salvifica viene trasformata in una miniera di radicali liberi.

Questo è solo un esempio, vediamo più nello specifico cosa cambia nell’alimento irradiato a livello nutrizionale.

Le modifiche a livello nutrizionale

Le modifiche che l’irraggiamento degli alimenti, effettuato a norma di legge e secondo i protocolli approvati, provoca a livello nutrizionale sono considerate, dagli organi competenti, pari a quelle che vengono determinate dagli altri processi produttivi e/o preventivi ormai consolidati, compresi diversi tipi di cottura.

Da qui deriva la dichiarazione che ho già riportato più in alto per quanto riguarda l’utilizzo di radiazioni inferiori a 10 Kgy.

Tuttavia, negli alimenti irradiati è possibile rilevare:

  • reazioni di polimerizzazione (con liberazione di acido solfidrico e solfuri organici)

  • ossidazione dei gruppi aminici e sulfidrilici degli amminoacidi

  • rotture delle catene laterali delle proteine, denaturazione e precipitazione

  • deaminazione degli amminoacidi con liberazione di ammoniaca

  • decarbossilazione degli amminoacidi con formazione di ammine

  • formazione di D-amminoacidi non biodisponibili

  • ossidazione ed idrolisi degli zuccheri (formazione di monosi e di acidi aldonici e uronici)

  • idrolizzazione delle pectine

  • rottura della catena idrocarburica degli acidi grassi (formazione di catene più corte e, dopo, di catene più lunghe e ramificate)

  • decarbossilazione degli acidi grassi saturi con formazione di idrocarburi

  • irrancidimento degli acidi grassi polinsaturi (azione dei radicali liberi)

  • perdita di vitamine in rapporto a diverse variabili (tipologia di alimento, dose di radiazione, condizioni ambientali al momento dell’irradiazione e durante la conservazione)

Conclusioni

Visti tutti gli effetti che l’irraggiamento degli alimenti può avere sulle macromolecole dei cibi, nella documentazione ufficiale viene riportato il consiglio di limitarne l’apporto ad una parte limitata dell’intera dieta.

Peccato che la varietà di cibi irradiati, soprattutto nei Paesi non appartenenti all’Unione Europea, sia in continua crescita e spesso riguardi cibi di origine vegetale che siamo abituati a ritenere crudi e pieni di sostanze preziose e salutari, come frutta fresca, verdure, noci e semi.

Come ha paventato il già citato dott. De Santis nel suo articolo, se non stiamo ben attenti possiamo davvero mangiare alimenti morti spacciati per crudi. Con il risultato che la nostra alimentazione potrebbe, senza che ne siamo consapevoli, risultare completamente processata e alterata, priva della vitale presenza di cibi davvero naturali e ricchi di nutrienti biodisponibili.

Per quegli alimenti che dopo l’irradiazione prevedono la cottura casalinga, il danno sarà anche maggiore…

Tutto per cercare di conservare, oltre l’intrinsecamente possibile, le derrate alimentari, in modo da poterle smerciare sempre più a lungo, sempre più lontano, ad un prezzo sempre più basso.

In un mondo ormai interamente globalizzato e succube del dio denaro, sta a noi essere consapevoli dei rischi, controllare bene le etichette, ma anche cercare maggiori informazioni ed esigere controlli rigorosi e, soprattutto, la possibilità di scelta.

Nel prossimo articolo vedremo la situazione legislativa italiana, dei Paesi membri della UE e dei cosiddetti “Paesi terzi”, cioè del resto del mondo, in relazione all’irraggiamento degli alimenti. E daremo una sbirciatina anche a fonti meno istituzionali.

Articolo di Megliocrudo.it: citazioni del testo possono essere fatte liberamente solo se si indica chiaramente che l’autore è megliocrudo.it e si inserisce un link che rimandi al contenuto originale su questo sito. Non è permessa la copia di interi articoli; per citazione si intende un estratto dal testo che non superi il 40% del medesimo.

Riferimenti e biblio-web-grafia:

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World Health Organization. International Consultative group on food irradiation (ICGFI). Task Force meeting on the Use of Irradiation to Ensure Hygienic Quality of Food, 14-18 July, Vienna, Austria. Geneva: WHO; 1987
Direttiva 1999/2/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 22 febbraio 1999 relativa al ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri concernenti gli alimenti e i loro ingredienti trattati con radiazioni ionizzanti, Gazzetta Ufficiale delle Comunità Europee n. L 066 del 13.03.1999.
Eaton GR, Eaton SS, Salikhov KM. Foundations of modern EPR. Singapore: World Scientific; 1998
Skala JH, McGown EL, Waring PP. Wholesomeness of irradiated food. J Food Protec 1987
Thayer DW. Food irradiation: benefit and concerns. J Food Qual 1990
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European Commission. Revision of the opinion of the Scientific Committee on Food on the irradiation of food. Bruxelles: European Commission; 2003
Rapporti ISTISAN 04/21 – Istituto Superiore di Sanità
Intervista di Marcello Pamio al dott. Paolo De Santis
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